GHITA CASADEI
di Giulia Pratelli

“Il posto giusto” per questa mia piccola riflessione non poteva che essere una rubrica dal titolo “Niente da capire” perché non c’è davvero nulla da capire su ciò che succede quando si spezza una vita così giovane, quando si spenge una donna nel fiore degli anni. Ghita era un’artista poliedrica: cantante, chitarrista, arrangiatrice, compositrice dalla voce abile, cristallina e potente. In un percorso ricco di esperienze live, anche diverse tra loro, Casadei si era fatta conoscere e rispettare nell’ambiente musicale romano e nazionale.
Dopo l’album di esordio PER QUELLO CHE SONO (2013), il 16 dicembre 2018, a pochi mesi dalla sua scomparsa, esce appunto IL POSTO GIUSTO. È stato un disco atteso, voluto, pensato e poi nato finalmente grazie ad un regalo. È una storia bella (potrebbe essere l’inizio di un film): gli amici più cari raccolgono quel che possono per incoraggiare la cantautrice a entrare in studio e dare vita a un nuovo lavoro, dopo un lungo periodo di incertezza e titubanza.

Arriva così la spinta decisiva che porta (per nostra fortuna) Ghita in sala d’incisione, tra il marzo 2017 e l’agosto 2018, al Recording Studio La Strada (Labaro) insieme ai musicisti Alessandro Butera (compagno di vita, oltre che valido e fidato collega), Toto Giornelli, Simone Battista, Pasquale Benincasa, Duilio Galioto, Massimo Pirone, Marco Zenini, Elena Floris, Ilaria D’Amore e Nicoletta Nardi (con queste ultime, tra l’altro, aveva fondato il trio vocale Piccoli Fiori Swing).
Impreziosito da una copertina delicata e sognante, particolare di un’opera della pittrice Alessandra Giovannoni, l’album ha i colori e la forza del mare, è impetuoso e al tempo stesso dolce, caratterizzato da scelte compositive e sonore fuori dai canoni del mainstream. Non è casuale il richiamo marittimo e isolano, in particolar modo a Procida, isola a cui Ghita era molto legata per ragioni familiari e personali, che si ritrova ad esempio nei brani Ascoltando l’alba e Il guardiano del carcere.
Decisamente diverso dal lavoro precedente, questo progetto fotografa un momento di maturità artistica, un lungo attimo di grazia in cui le melodie si incrociano con gli arrangiamenti e le emozioni col racconto. Un disco dai suoni folk, a volte crudi, a volte sporchi ma sempre caldi e coinvolgenti, autentici e forti, talvolta come una carezza, talvolta come un pugno allo stomaco.
Attraverso le dodici tracce si raccontano l’attenzione per i piccoli dettagli, la cura delle cose belle, l’amicizia, i rapporti importanti. Si affrontano valori universali ma, allo stesso tempo, forse fuori contesto rispetto al momento che stiamo vivendo, alla velocità estrema e disattenta dei nostri giorni.
Con una poetica fatta di semplicità, prende voce un’anima in cammino, un cuore scalzo che vive “di ampio respiro, di musica”, “sperando che il tempo sia gentile / ballando sul selciato arroventato al sole a piedi nudi”(La solita maniera). Si va alla ricerca de Il posto giusto, quello in cui “un piccolo respiro diventa canzone” e “suona felice poca musica buona”, per poi accorgersi che quel posto coincide semplicemente con “tutta la vita”.

Questo album richiede un ascolto attento, un’immersione totale, e ricambia tutto questo lasciando dietro sé una scia di intensità, anche grazie all’attitudine live con cui è stato suonato, che rende sempre vivi i brani. La produzione è ricca e variegata, ma tutti i pezzi sono tenuti insieme da un filo che li rende coerenti e ben amalgamati e fa trasparire i molti (e disparati) riferimenti di un’artista eclettica: da Modugno a Ben Harper, da Norah Jones a Murolo.
Professionista completa, Casadei ha composto le musiche, scritto i testi e prodotto i brani assieme al fratello Pietro. Ha suonato i mandolini, le chitarre e diretto i lavori, avendo le idee molto chiare rispetto a dove sarebbero dovute arrivare le sue canzoni, nate da un semplice chitarra e voce. Ha curato i missaggi, fino all’ultimo momento, e lasciato poi nelle mani di chi le stava più vicino l’onere e l’onore di completare il master e pubblicare il progetto… in punta di piedi, rispettando la sua personalità, sempre guidata dalla verità e dalla gentilezza.
Il lavoro si chiude con Vorrei diventare, un brano a cappella che lascia tutto lo spazio possibile alla voce e alle sue sfumature, alla sua forza interpretativa e qualità tecnica. Un testo giocoso ma anche intenso, che in certi momenti ricorda le filastrocche dei bambini. E’ proprio in questo punto di incontro tra il gioco, la gioia e la purezza dell’infanzia con la forza e la consapevolezza della maturità che termina questo disco, che racconta tutto ciò che, anche con la musica e le parole, questa artista meravigliosa era e, ancora, sperava di diventare. E io mi auguro, di cuore, che ovunque sia possa essere radici e albero, fiore, vento d’isola… un pesce libero.

Un ringraziamento speciale ad Alessandro Butera, per la nostra lunga chiacchierata, piena di aneddoti, voglia di raccontare e soprattutto amore, e un altro grazie a Toto Giornelli, che ci ha messi in contatto con affetto sincero.

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