Fabrizio De André
Un blasfemo (Dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato)

da NON AL DENARO NON ALL’AMORE NÉ AL CIELO

LP Produttori Associati; 1971

di Michele Neri

Alla fine del 1971 la Produttori Associati pubblicò il quinto album di Fabrizio De André, Non al denaro, non all’amore né al cielo, un disco importante ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master o meglio alla traduzione della stessa opera realizzata da Fernanda Pivano.
Registrato negli studi Ortophonic di Roma con musicisti importanti come Silvano Chimenti, Enzo Restuccia, Maurizio Maiorana e Giorgio Carnini, l’album viene arrangiato da Nicola Piovani che firma con De André tutte le musiche.
Tra le canzoni più riuscite di Non al denaro non all’amore né al cielo c’è sicuramente Un blasfemo, anche se bisogna dire che il livello, come quasi sempre quando si parla di De André, è davvero altissimo.
Ma è proprio il fatto che tutte le musiche siano firmate da Nicola Piovani e Fabrizio De André fa un po’ storcere il naso e parliamo del deposito SIAE e non semplicemente di cosa viene riportato sull’etichetta o sulla confezione del disco. Anzi sulla busta interna del disco, che riporta i testi delle canzoni, sotto quello di Un blasfemo compare la dicitura “La musica è una elaborazione di un tema popolare inglese”. Tutto probabilmente regolare e legittimo ma per tutti, questa è una canzone di Fabrizio De André e per alcuni – più attenti e preparati – una canzone scritta con Nicola Piovani. Ma questo tema popolare inglese è una canzone molto, ma molto nota per quanto riguarda la tradizione inglese. Si tratta di Young Rambleaway, ballata nota al pubblico sin dai primi anni del novecento. Con il titolo anche accorciato in Rambleaway, è stata incisa da importanti esponenti del folk britannico tra cui Shirley Collins, regina della canzone tradizionale inglese, che la pubblica nel 1963 nel suo extended play Heroes In Love (Topic Records). Ma la Collins, che l’ha anche riproposta con la sorella Dolly nel 1969 sul capolavoro Anthems In Eden, edito sulla storica etichetta Harvest della EMI. Anche un gruppo fondamentale di certa musica come gli Young Tradition, hanno ripreso Rambleaway (intitolata però Derry Down Fair) sull’Lp d’esordio del 1966. In anni successivi altri nomi storici del folk anglosassone come Albion Band e Norma Waterson e altri numerosi artisti, hanno inciso una personale versione di Rambleaway.

È abbastanza ovvio che liquidare come tema popolare inglese una canzone così famosa senza citare nemmeno il titolo e firmando le musiche come fosse una composizione originale e non una semplice elaborazione è abbastanza fastidioso. Che poi all’ascolto tutta questa elaborazione non è che si avverta così tanto. Chiunque può ascoltare la versione di Shirley Collins e rendersi conto della dubbia opportunità di liquidare una vera e propria cover come elaborazione di un tema popolare. Il testo italiano, quello sì, è davvero di una bellezza abbagliante e come accaduto in altre occasioni, forse Geordie è un bell’esempio, superiore all’originale. Non è un fastidio isolato nella discografia di De André in cui una certa leggerezza nell’accreditare le origini o le ispirazioni di determinate canzoni, è facilmente individuabile. La grandezza del cantautore non la considero minimamente scalfita da nessuno di questi episodi, De André è davvero uno dei più grandi artisti della storia musicale italiana. Rimane un peccato pensare che con poco si sarebbe evitato di percepire queste ombre aleggiare nella luminosità della sua arte indiscussa.

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