Niccolò Fabi
ECCO

CD Universal, 2012

di Giulia Pratelli

Anticipato dal singolo Una buona idea, il settimo disco di Niccolò Fabi ha fatto parlare di sé e lasciato un segno importante nella musica italiana, tanto da aggiudicarsi una meritatissima Targa Tenco come Disco dell’anno 2013.
Il lavoro è frutto di una forte evoluzione artistica, probabilmente legata in modo inscindibile allo sconvolgimento portato nella vita dell’artista da un immenso dramma familiare. Il legame tra quel fatto e le canzoni di questo disco è sicuramente strettissimo e non ha bisogno di essere sottolineato ancora: quello che conta davvero, a mio avviso, è l’esperienza dell’ascolto e ciò che resta sulla pelle quando la musica finisce. A rimanere sono emozioni intense che arrivano con la forza di un uragano ma, al posto del segno di uno schiaffo, lasciano il calore di una carezza. Il cantautore sa portare i suoi ascoltatori per mano fino in fondo al buio più nero per poi accompagnarli fuori dal labirinto e riconsegnarli alla speranza di chi sa che (capovolgendo il verso di un brano del disco precedente) come la gioia, anche il dolore “si deve conservare” e soprattutto “si deve trasformare”.
Ricco della forza tipica dei grandi lavori di squadra e delle forti alchimie umane e professionali, l’album è un’opera corale che sa valorizzare alla perfezione ogni testo e ogni melodia. Alla band principale composta da Roberto Angelini, Pier Cortese, Fabio Rondanini, Gabriele Lazzarotti, Daniele “Mr Coffee” Rossi e Andrea Di Cesare, si aggiungono in piccoli e fondamentali episodi anche Roy Paci, la banda di Aradeo e l’orchestra di archi dell’APM diretta da Stefano Cabrera. Gli arrangiamenti sono ricchi e curati fino al minimo dettaglio, si mantengono sempre freschi all’ascolto, spaziando tra un (quasi sempre) morbido pop rock e il folk.
Il percorso si snoda in undici episodi che alternano intensità e leggerezza, di quella buona, che non è mai superficialità ma capacità di guardare le cose da lontano (“perché alla giusta distanza la vista migliora”), e prendersi in giro con intelligenza e ironia. Io, I cerchi di gesso, Indipendente, Sedici modi di dire verde, Lontano da me si alternano a brani più introspettivi, densi di emozione come Una buona idea che affronta l’urgenza di ritrovare verità e qualità nella realtà che ci circonda, partendo dalla fiducia nel pensiero, nell’intelletto e nell’umanità e riassumendo il tutto nella frase semplice e quanto mai efficace “mi basterebbe essere padre di una buona idea”.
Si incontra poi, con un nodo alla gola, Elementare,“come il sonno la domenica, come un pallone che rotola”, come l’incedere semplice ma inarrestabile della quotidianità e quella carezza leggera che ci salva sull’orlo del precipizio e, nonostante tutto, ci risolleva poggiandoci dolcemente a terra.

 Anticipata dal breve brano strumentale Indie, chiude il lavoro (e non sarebbe potuto essere altrimenti) Ecco, che ripercorre al contrario il momento in cui qualcosa si rompe per ricucire i frammenti e ritornare all’inizio di tutto. Comincia con arpeggi che si intrecciano dolcemente per poi lasciare spazio ad accordi pieni, chitarre distorte e una voce pronta anche a spezzarsi, pur di riuscire a urlare forte la sua promessa “di certo non ti lascerò mai andare / di certo non ti lascerò sparire”… per poi cedere nuovamente il passo a quegli arpeggi leggeri e restituire l’oggetto, riportare al principio con la naturalezza con cui porgono un regalo i bambini, racchiusa appunto in quella parola che è cerchio che si chiude, inizio, fine e poi ancora inizio: ecco.

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